Scovata nelle pieghe della nuova procedura per la fatturazione elettronica una voce che rimanda ad un improbabile commercio di fiammiferi. (08.01.2019)
Durante una recente trasmissione televisiva, Carlo Cottarelli, a proposito della piaga della burocrazia, ha affermato che non si riesce a semplificarla, perché “c’è un mucchio di resistenze, prima di tutto da parte dei cosiddetti burocrati”.
L’eccesso di burocrazia si manifesta per i cittadini con un linguaggio incomprensibile, procedure contorte e richieste d’informazioni astruse, per esempio nella modulistica. Dal primo gennaio di quest’anno, per esempio, le imprese, i commercianti e milioni di partite IVA dovranno adottare la Fattura Elettronica.
Abbiamo verificato in cosa consiste. Tra i dati richiesti per la registrazione sul portale appositamente creato dall’Agenzia delle Entrate, troviamo l’indicazione del regime fiscale cui il contribuente è sottoposto. Che sarà mai? Fortunatamente c’è un elenco a scorrimento delle scelte possibili, certo un grande aiuto.
La sorpresa è stata trovare, tra queste 17 scelte, la voce “Commercio di fiammiferi”. Commercio di fiammiferi? Aiuto! Ci sono delle imprese in Italia che commerciano ancora in fiammiferi? Cosi importanti, che meritano un proprio regime fiscale, appositamente creato per loro, ex “art.74 c.1. DPR 633/72”? Un burocrate fantozziano non avrebbe potuto inventarsi nulla di più improbabile.
Siamo dunque andati a verificare l’articolo “74 c.1. DPR 633/72” per cercare di capire. Riguarda L’IVA e dice che l’imposta è dovuta: “b) per il commercio dei fiammiferi, limitatamente alle cessioni successive alle consegne effettuate al Consorzio industrie fiammiferi, dal Consorzio stesso, sulla base del prezzo di vendita al pubblico. Lo stesso regime si applica nei confronti del soggetto che effettua la prima immissione al consumo di fiammiferi di provenienza comunitaria. L’imposta concorre a formare la percentuale di cui all’art. 8 delle norme di esecuzione annesse al decreto legislativo 17 aprile 1948, n. 525; Chiaro, no?
Com’è possibile che una legge tuttora in vigore e diligentemente applicata dai solerti burocrati, che hanno sviluppato le procedure per la futuristica e cibernetica Fattura Elettronica, prenda in considerazione l’eccezione del commercio dei fiammiferi? Quanti maledetti fiammiferi si vendono in Italia per giustificare un trattamento IVA particolare?
Abbiamo ulteriormente approfondito. La questione dei fiammiferi e del relativo Consorzio CIF risale a quasi un secolo fa, al Regio Decreto 11 marzo 1923, con cui il legislatore italiano introduceva una nuova disciplina della fabbricazione e della vendita di fiammiferi, istituendo un consorzio tra determinate fabbriche nazionali di fiammiferi, il Consorzio Industrie Fiammiferi, Il consorzio è finito poi nel mirino dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) a causa del contrasto delle attività del consorzio stesso con la normativa europea. Oggi del consorzio non c’è più traccia. Alla sede di Roma un cordiale portiere ci informa che il consorzio non risiede più lì da almeno tredici anni.
Purtroppo, anche i simpatici fiammiferi sono ormai superati dai tempi moderni. L’urlo “Aòh, passami un prospero” non si sente più neanche nei bar più malfamati di Roma.
Scopriamo infine che l’imposta di fabbricazione sui fiammiferi è stata abolita nel 2014 (DL 15 dicembre 2014, n. 188). Ma l’eccezione del trattamento dell’IVA è rimasta ad appesantire la italica burocrazia, inossidabile ed inamovibile.
Forse è solo una questione di coraggio. Immagino che all’Agenzia delle Entrate nessuno abbia avuto il coraggio di dire: “Ma cos’è questa storia della fabbricazione dei fiammiferi? Togliamola dai moduli!”. Probabilmente non se ne sarebbe accorto nessuno.