01 ottobre 2018, pubblicato su italiani.net
Circa 70 mila persone hanno partecipato alla manifestazione indetta a Roma dal Pd con lo slogan Per l’Italia che non ha paura
Per l’Italia che non ha paura è la scritta gigantesca e multicolore che sovrasta il palco di Piazza del Popolo. In una soleggiata domenica settembrina, il Partito Democratico (PD) convoca la sua base alla manifestazione nazionale a Roma “per costruire un’alternativa alla politica dell’odio, del declino, dell’isolamento e della paura”.
Nello slogan scelto è evidente l’allusione alla Lega, quel partito che ha costruito il suo successo sulla paura: degli immigranti, della piccola criminalità, degli zingari e, più genericamente, del futuro. Il PD ha dunque scelto uno slogan di contrasto alla propaganda di destra. A prima vista sembrerebbe un approccio ragionevole.
Se analizziamo tuttavia il profondo solco che si è aperto nella società italiana, come in molte società occidentali, lo slogan del Partito Democratico non fa che ribadire la distanza tra la parte privilegiata della società moderna e quella parte crescente di cittadini rimasti indietro, che si sente esclusa dalle prospettive di benessere e agiatezza.
Lo slogan ideato dalla comunicazione del maggiore partito di sinistra italiano potrebbe rivelarsi un boomerang. Gli italiani hanno paura, è un fatto incontrovertibile. Fare presente che si tratta di paure irrazionali e smentite dalle statistiche non li aiuta a dormire meglio e rischia di erodere ulteriormente il consenso dell’elettorato di sinistra. La critica da destra alla manifestazione rileva il “cattivo gusto” di uno slogan e di una mobilitazione che non è “spontanea e dovuta all’esasperazione” (Il Primato Nazionale, quotidiano sovranista).
Lo slogan PD sembra ignorare il baratro sociale tra i privilegiati, generalmente quantificati intorno al 10% della popolazione, e una classe media sempre più esclusa dai benefici della crescita e del benessere, unita, malgrado le diversità sociali e culturali, dal più importante fenomeno del nuovo millennio: l’insicurezza e la paura del futuro.
Come fa notare Thomas Piketty nel suo recente saggio Sinistra di bramini contro destra di mercanti, la drammatica crescita delle disuguaglianze negli ultimi 60 anni ha cambiato la struttura del conflitto politico. Paradossalmente la tensione sinistra contro destra si è ristretta ed è limitata a quel 10% di previlegiati. Da una parte un’élite colta che vota a sinistra, dall’altra un’élite ad alto reddito e benestante a destra. Una contrapposizione confermata efficacemente da una battuta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump: “La chiamano élite. Ma noi abbiamo più denaro, più cervello, abbiamo case e appartamenti migliori, barche più belle e siamo più furbi di loro, che dicono di essere l’élite» (discorso elettorale nel Minnesota il 21 giugno 2018).
La maggioranza della popolazione, quel 90% di cittadini esclusi dai privilegi delle due élite, si riversa prevalentemente in due grandi comportamenti politici ed elettorali: l’astensione e il populismo rancoroso.
La manifestazione del 30 settembre è stata considerata un successo, a parte le solite ridondanti polemiche sul numero dei partecipanti, che hanno infestato i social network. Il segretario del PD Maurizio Martina ha parlato in chiusura con inaspettata passione e slancio, la voce a tratti rotta dalla foga. Si è appellato agli elettori che avevano abbandonato la sinistra alle ultime elezioni: “abbiamo capito la lezione”. Martina si è scagliato contro la “politica dell’odio” dell’attuale governo giallo-verde, proponendo “un nuovo PD per una nuova sinistra”.