Il Valore di tutto è un interessante libro di Mariana Mazzucato con il sottotitolo “Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale”, edito da Laterza e pubblicato in Italia alla fine del 2018.
La Mazzucato è una influente economista americana di origine italiana che affronta le sfide dell’economia con un pigio innovativo, dissacrante e progressista. Ne libro sviluppa il discorso intorno al valore delle cose partendo dalle grandi teorie economiche degli ultimi due secoli, analizzando il concetto del valore, contrapponendo la sua creazione con quello che chiama la estrazione del valore.
Il libro della Mazzucato conferma un concetto che intuitivamente conosciamo tutti: la discrepanza tra il costo e il valore. Trent’anni di devozione indiscriminata del mercato hanno distorto fino ad annullare la nostra percezione del valore delle cose. Come ribadisce Mazzucato, la dottrina dell’economia neoclassica attribuisce il valore di un prodotto al suo prezzo, e non il contrario: logicamente il prezzo dovrebbe essere calcolato in base al valore. Come è facile dimostrare, una bottiglia di vino che costa 500 Euro non vale venti volte una bottiglia di un ottimo vino che costa 25 Euro. Oppure, una bellissima casa in un borgo medievale della provincia italiana, che sul mercato immobiliare costa 150 mila Euro non può avere un valore dieci volte inferiore ad un appartamento della stessa dimensione nel centro di una grande città come Roma o Milano oppure in una destinazione turistica alla moda.
E’ assurdo che il costo di un prodotto di moda, una borsetta o una maglietta, sia decuplicato dal marchio che esibisce. Già mezzo secolo fa, con l’avvento della società dei consumi, ci spiegavano che il costo di un tubetto di dentifricio è per una minima frazione determinato dal prodotto che contiene, forse il 5%. Il resto del costo è determinato dalla confezione e soprattutto dalla pubblicità. La contraddizione economica è nel valore nullo che la pubblicità apporta al prodotto con cui mi pulisco i denti. Certo la pubblicità crea posti di lavoro e offre alle imprese opportunità di guadagni. Ma non produce nulla, è totalmente improduttiva, secondo i canoni della teoria dell’economia classica.
Al cuore della teoria neoclassica c’è il valore marginale, che consiste nel valore soggettivo che un individuo (consumatore) attribuisce ad un prodotto o servizio, in base alla sua utilità e alla sua scarsità. Nel concetto di utilità è compresa anche la soddisfazione e persino la felicità.
Il problema della teoria neoclassica è che equipara il valore al prezzo, e non il contrario. Si è perso così il concetto di valore calcolato in base alla materia prima e al lavoro necessari per la produzione. Invece del valore che determina il prezzo, abbiamo così il prezzo che determina il valore.
La microeconomia descrive come le imprese, i lavoratori e i consumatori prendono decisioni, sulla base della teoria neoclassica della produzione e del consumo, che si fonda sulla massimizzazione dei profitti (delle imprese) e dell’utilità (dei consumatori e dei lavoratori).
Secondo Mariana Mazzucato il libero mercato di Adam Smith dovrebbe essere inteso “libero dalla rendita”, che è improduttiva.
La Mazzucato accusa la progressiva finanziarizzazione dell’economia, che non contribuisce alla crescita, malgrado che i profitti delle attività finanziarie siano inclusi del PIL, ma non producono nulla. Gli economisti hanno perso la distinzione tra profitti e rendite. Cita l’esempio della casa automobilistica Ford, che nel 2000 in America ha fatto più utili con i prestiti sull’acquisto a rate delle auto che con la vendita delle auto stesse (Personal Contract Plan PCP)
Consideriamo gli affitti, che crescono a causa della scarsità di alloggi e fanno quindi crescere anche il PIL. Tuttavia è una crescita illusoria, perché non è aumentata nessuna produzione, anzi, è possibile che a causa degli affitti che crescono gli affittuari siano costretti a spendere e consumare di meno. I fautori del libero mercato potrebbero argomentare che i padroni di casa spenderanno di più, stimolando l’economia. In verità i padroni di casa, che sono una minoranza, già consumano molto perché sono ricchi. L’aumento delle loro rendite più probabilmente andrà ad accumularsi nei loro patrimoni, senza sviluppare il mercato dei beni e dei servizi. Come si è visto in questi ultimi decenni, la fascia più ricca ha ottenuto un aumento del proprio reddito e del proprio patrimonio, mentre la ricchezza della maggioranza è rimasta al palo, provocando l’aumento delle disuguaglianze.
Tra le soluzioni che propone Mariana Mazzucato c’è la necessità di vincolare gli aiuti e i finanziamenti stanziati dallo stato alle aziende ad alcune regole: reinvestire i profitti, invece che redistribuirli ai soci, evitare il riacquisto delle proprie azioni. Lo stato dovrebbe limitare le rendite, incrementando le tasse su queste e incoraggiando gli investimenti produttivi: limitare l’ ammontare della rendita che emerge da ogni approccio non collettivo alla creazione di valore.
Mariana Mazzucato cita più volte due esempi di aiuto dello stato alle aziende: Tesla che riceve quattrocento milioni di dollari di prestiti agevolati dallo stato si sviluppa rapidamente con una straordinario crescita del valore azionario, di cui lo stato non riceve alcun ritorno, per riceve solo la restituzione del prestito. Una società di sistemi fotovoltaici invece fallisce e lo stato perde il finanziamento che ha concesso. Secondo Mazzucato, lo stato prende dei rischi come un venture capitalist, quando ha successo non ha alcune ritorno, mentre quando fallisce ci rimette.
Propone di ridimensionare le rendite da brevetti, limitarne il periodo di validità. Sui farmaci rigetta il calcolo dei valore basato su quello che sarebbe successo se il farmaco non fosse stato somministrato. Il valore dovrebbe essere proporzionale allo sforzo di ricerca e sviluppo e ai reali costi di produzione e distribuzione.